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SPORT

"Dal 2007 il calcio è cambiato poco"

Tifo violento, la vedova Raciti: "Giro l'Italia per difendere i valori per cui è morto mio marito"

Marisa Grasso, vedova dell'ispettore di Polizia Filippo Raciti, morto il 2 febbraio 2007 durante gli scontri tra ultrà e forze dell'ordine dopo il derby Catania-Palermo, ai nostri microfoni dice: "La vita va tutelata e protetta da questi terroristi da stadio"

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di Carlotta MacerolloRoma
Vive a Catania ma si sposta in tutta Italia per difendere i valori che suo marito, Filippo Raciti, ha difeso con la vita. Marisa Grasso era una donna timida, riservata: in questi otto anni ha imparato a parlare alle folle, a trattare con politici, gente comune, ragazzi delle scuole. Con i suoi due figli ha vissuto un dolore enorme ma siccome a suo dire "la speranza deve essere sempre l'ultima a morire", ha deciso di consegnare la sua realtà, il suo vissuto doloroso e carico di sacrifici come testimonianza. Perché non ci siano altre famiglie che affrontino la tragedia che ha vissuto lei.

Cosa è cambiato e cosa vorrebbe cambiasse nel calcio italiano?
"Dal 2007, il calcio è cambiato poco. C'è una consapevolezza maggiore della violenza, le morti però ci sono e non vorrei che ci fossero altri uomini in divisa a morire e tutti possano andare a vedere una partita di calcio sani e salvi".

Pensa che le partite a porte chiuse possano essere una soluzione?
"Sicuramente. La vita è una e va tutelata, sia che appartenga ad un poliziotto sia che appartenga ad un tifoso. E bisogna tutelarla da questi terroristi da stadio".

Perché la violenza trova terreno fertile allo stadio?
"E' un luogo grande che accoglie tanti violenti che si esprimono anche nel quotidiano con la violenza. Si permette sempre al violento di fare quello che vuole. E' da trent'anni che si parla del modello inglese ma poi non viene adottato. Gli altri paesi riescono a contenere il problema anche culturalmente mentre noi in Italia subiamo. Siamo abituati a questa sottocultura, perché parlare di violenza significa parlare di sottocultura".

Suo marito cosa pensava?
"Mio marito era fiducioso che le cose sarebbero cambiate. Mi ricordo la sera prima del 2 febbraio, tornavamo a casa io ero preoccupata perché avevo sentito che questa partita era a rischio, lui mi diceva 'le cose cambieranno quando ci sarà un morto, una vittima tra la polizia o tra i carabinieri'. Senza sapere che poi il morto sarebbe stato lui. A distanza di 8 anni, vedere che le cose sono cambiate poco, mi amareggia, mi terrorizza realmente. Non vorrei che altri subissero la stessa tragedia che ha subito la mia famiglia".

Quando l'avvocato di Speziale l'ha querelata cos'ha pensato?
"Inevitabilmente mi sono ritrovata a dovermi relazionare con questa famiglia che invece di rispettare il dolore e abbassare gli occhi, ha continuato ad esprimere ciò che è. Mi dispiace molto continuare a subire".

Lei gira l'Italia per difendere l'immagine di suo marito, cos'è cambiato in lei?
"Giro l'Italia per continuare a difendere i valori che mio marito ha difeso con la vita. Lo faccio perché non vorrei andare a consolare un'altra vedova che come me ha vissuto una tragedia del genere. Quando vado in giro mi accorgo del mio grande trauma perché parlo ai ragazzi. E siccome la speranza deve essere sempre l'ultima a morire, consegno ad altri una realtà, un vissuto, molto doloroso e sofferto per me. Anche carico di sacrifici per me e i miei figli. Ma non desidero che ci siano altre famiglie che vivano questa tragedia. E finché posso la mia solidarietà alle famiglie delle forze dell'ordine la esprimo così. Spero che le cose cambino".

I suoi figli vanno allo stadio?
"No, i miei figli non vanno allo stadio. C'è stato solo un momento nella vita di mio figlio quando a 14 anni mi ha chiesto con i cuginetti di andare sul luogo del delitto a vedere quella realtà. Come madre, quando un figlio chiede, vuole sapere, vuole conoscere...l'ho lasciato andare. Non immagina quanto è stata dolorosa aspettarlo a casa…è andato quella volta poi non è più andato".